Un incontro-dibattito dal titolo “La Buona scuola è la scuola che vogliamo?”, si è svolto ieri, 23 ottobre, a Cinquefrondi (RC), in collaborazione con il Frantoio delle idee, uno spazio culturale autogestito, sorto qualche anno fa e conosciuto nel territorio e non solo, per le lodevoli iniziative ed eventi culturali che ha finora realizzato. Ad organizzare l’evento, i docenti Rosanna Giovinazzo, Alba Oppedisano e Fabio Auddino di Insegnanti calabresi-Partigiani della scuola pubblica, comitato che, da tempo, lotta ed attua forme di resistenza contro un modello di scuola, e quindi di società, che si pone in netto contrasto con i valori che stanno alla base di una sana formazione umana, culturale e civile degli studenti. Uguaglianza, diritti, doveri, valori VS disuguaglianza, discriminazione, tecnocrazia, plutocrazia. I docenti organizzatori ed anche relatori hanno approfondito i contenuti della legge 107, partendo proprio da queste considerazioni; hanno poi analizzato i punti maggiormente critici della legge stessa che, per la sua impostazione aziendalistica e verticistica, è da considerarsi inemendabile. In particolare, si è parlato di merito e valutazione dei docenti, di alternanza scuola-lavoro, dei poteri del dirigente-manager, di Albi territoriali e mobilità dei docenti, di fatto precarizzati, dei finanziamenti privati nelle scuole, della minacciata libertà d’insegnamento, delle detrazioni fiscali per chi frequenta scuole private, di deleghe in bianco ed altro ancora. Di tutti questi punti sono stati messi in rilievo i profili di incostituzionalità, più volte analizzati e ribaditi da illustri costituzionalisti, tra i quali il giudice onorario della Corte di Cassazione Ferdinando Imposimato.
In ultimo, si è dato spazio agli interventi del pubblico, soprattutto docenti e studenti.
Questi ultimi, lamentando una scarsa informazione, si sono ripromessi di documentarsi meglio e di contattare i gruppi di studenti calabresi che stanno portando avanti un’analoga lotta a quella dei comitati di docenti e a stretto contatto con essi.
buona scuola
Lamezia: studenti e docenti rilanciano un percorso di lotta comune contro la buona scuola

L’intento è stato quello di fare il punto della situazione, ad anno scolastico da poco iniziato, aspettando gli effetti della L. 107/15. Effetti nefasti già solo come impatto psicologico, evidente dai visi tirati e dalle argomentazioni preoccupate che rimbalzano da un interlocutore all’altro.
Il tema centrale che si abbatte più rapidamente e direttamente sugli
Studenti, è senz’altro quello dell’alternanza scuola – lavoro, percepito realisticamente per quel che è: sfruttamento di lavoro minorile, tempo “scippato” alla formazione, sottrazione di ore di lavoro, anche solo stagionale, ad adulti inoccupati o disoccupati.

Il dibattito, sano e realistico, non manca inoltre di evidenziare le criticità, prima fra tutte, la mancanza di partecipazione attiva alla concertazione.
La sintesi è rinvenibile in un filo costantemente collaborativo tra studenti e inseganti, in vista di una serie di mobilitazioni a difesa della Scuola che necessitano della partecipazioni di tutti.
Insegnanti Calabresi – PSP Partigiani della Scuola Pubblica – Comitato Docenti Lamezia
Approvata Mozione contro la “Buona Sola” di Renzi. Cinquefrondi è il 3 Comune d’Italia ad approvarla
Gli “Insegnanti calabresi” –PSP Partigiani della Scuola Pubblica e tutti i comitati provinciali dei docenti autoconvocati ringraziano il sindaco ed il Consiglio comunale di Cinquefrondi (RC) per la mozione approvata contro la “Buona Scuola” di Renzi e la sensibilità dimostrata, per aver compreso le ragioni di questa battaglia che non è corporativistica, come certa demagogia vorrebbe far credere, perché la Scuola è di tutti, e da essa, dalla sua corretta ed efficace impostazione rispettosa dei principi della Costituzione, dipende il futuro di questo paese sempre più svilito e disgregato.
Con 9 voti favorevoli e quattro astenuti, la mozione “No alla Buona scuola ( legge 107/2015)” è stata approvata, oggi 6 ottobre 2015, dal Consiglio comunale di Cinquefrondi (RC).
Ad illustrare i contenuti della mozione, il sindaco Michele Conia il quale ha definito la lotta, portata avanti da migliaia di docenti, una battaglia di civiltà e di libertà. Ha poi sottolineato i punti maggiormente critici della legge 107, che vanno dall’aziendalizzazione della scuola, all’estrema discrezionalità riconosciuta al dirigente scolastico a discapito della collegialità, al comitato di valutazione, all’alternanza scuola lavoro, all’ingresso nel finanziamento della scuola di fondazioni, imprese, associazioni, allo school bonus.
Argomentando punto per punto, ha espresso così le sue ragioni di netta contrarietà a questa legge. La scuola è un settore nevralgico della società ed è tale la sua importanza che ha bisogno di riforme non di “controriforme”; il ruolo dell’insegnante, poi, meriterebbe maggior rispetto e riconoscimento. Dello stesso tenore, le parole del vicesindaco Giuseppe Longo, il quale dopo aver letto il testo della mozione, ha espresso piena e completa vicinanza alla causa dei docenti che contestano la legge 107, condividendone le ragioni.
Cinquefrondi, dopo Gravina di Puglia e Lamezia Terme, si schiera contro la legge 107/2015. Dal Sud, tre coraggiosi comuni che si battono per una scuola che sia veramente luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica, condizioni imprescindibili per il senso di cittadinanza e per il progresso umano e civile di questo Paese. Tre coraggiosi comuni che dicono no ad una scuola aziendalistica e verticistica, che è quella contemplata dalla legge 107.
insegnanticalabresi@gmail.com
MOZIONE
MOZIONE APPROVATA IL 6 OTTOBRE 2015 COMUNE DI CINQUEFRONDI
MOZIONE No all’attuale Riforma (legge 107/ 2015) denominata “Buona scuola”.
Il Consiglio Comunale,
alla luce delle norme che regolano il funzionamento di questa Assise, propone la discussione di una mozione, riguardante la legge citata in oggetto, che possa sostenere la battaglia portata avanti dai docenti.
Pertanto, PRESO ATTO
delle numerosissime mobilitazioni che stanno coinvolgendo il mondo della scuola pubblica statale, culminate nello sciopero generale dello scorso 5 maggio con la contestuale manifestazione di numerosissimi lavoratori della scuola, che sono sfilati in corteo per tutte le città d’Italia;
che la percentuale di adesione, da parte di tutto il personale della scuola, è stata circa del 70%;
che persiste molto forte uno stato di agitazione del personale della scuola, collegato alla Legge di che trattasi denominata “Buona scuola”;
VALUTATO che:
i contenuti della riforma introducono, trasformando la scuola in azienda, un fortissimo squilibrio dei poteri e delle competenze all’interno degli istituti scolastici statali, sminuendo i principi di libertà di insegnamento, collegialità, democrazia e partecipazione dei lavoratori della scuola, delle famiglie e degli studenti. Infatti, Il rafforzamento dei poteri dei Capi di Istituto, che potranno scegliere a loro discrezione, dai cosiddetti Albi territoriali, il personale della scuola e le mansioni da assegnare a ciascuno, trasforma la scuola, a tutti gli effetti, in un’azienda, annullando di fatto la dimensione collegiale ed esponendo il sistema a pericolosissime derive autoritarie e clientelari, fino a compromettere del tutto il funzionamento del sistema;
in ordine alla meritocrazia, sarà un Comitato di sette membri, tra cui il dirigente scolastico, tre docenti di cui uno designato dal Consiglio di Istituto e due dal Collegio dei docenti , un membro esterno, un genitore e uno studente (o due genitori nelle scuole primarie), che individueranno i criteri per stabilire chi tra i docenti sono i migliori e più impegnati. Tutto ciò con conseguenze inaccettabili sull’ armonia tra i docenti e sulla imparzialità nella gestione della scuola. Questa norma, tra l’altro, si pone in contrasto con la Costituzione. Infatti i criteri di valutazione del merito dei docenti vanno stabiliti per legge, e non attribuiti a scelte discrezionali di dirigenti scolastici o comitati di cui fanno parte membri esterni, genitori e studenti, che non sono né ben informati sul rendimento, né imparziali. Infatti, l’art 97 della Costituzione stabilisce che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Ma viene violato anche l’art 33 della Costituzione sulla libertà di insegnamento: un docente che dovrà essere giudicato da un comitato di cui faranno parte anche i genitori degli studenti, un rappresentante degli stessi studenti e un membro esterno, non sarà più libero, ma sarà condizionato da interferenze di soggetti non imparziali;
l’ingresso nel finanziamento della scuola di fondazioni, imprese, associazioni, ecc., che si accompagna al ritiro dello Stato – non più tenuto a garantire un servizio scolastico uniforme attraverso la fiscalità generale – condiziona l’insegnamento ad interessi privati; tutto ciò, inoltre, potrebbe configurare una sperequazione nella suddivisione delle risorse che verrebbero assegnate tramite lo school-bonus: i benefici andranno infatti solo alle realtà avvantaggiate sia dal punto di vista economico che culturale, negli ambienti deprivati chi investirebbe i propri denari nelle scuole? Crediamo, nessuno;
l’equiparazione delle scuole pubbliche di Stato alle scuole private “paritarie” tradisce la natura universalistica dell’istruzione pubblica, alimentando particolarismi sociali, culturali e confessionali che disgregano il tessuto comune della cittadinanza, che la Costituzione tutela vietando il finanziamento pubblico alle scuole private (Art. 33);
l’”alternanza obbligatoria scuola-lavoro”, l’”impresa didattica”, la “Bottega scuola”, l’”Apprendistato sperimentale” costituiscono tutte forme di una gravissima lesione del diritto all’istruzione, dovendo destinare parte delle ore della didattica ad ore di lavoro gratuito presso le imprese; subordinano, inoltre, agli interessi di queste ultime, le esigenze formative degli studenti e fanno temere situazioni di sfruttamento del lavoro minorile;
il piano assunzioni è stato strutturato in maniera contraddittoria poiché ha previsto e prevede una mobilità obbligatoria e straordinaria per tutti coloro che aspirano al ruolo, con precari storici delle GaE che, a 40 o 50 anni di età e con famiglia, sono stati e saranno costretti a spostarsi anche a 1000 chilometri da casa senza possibilità di rifiutare l’incarico, pena l’espunzione dalle graduatorie stesse.
CONSIDERATO inoltre
Che il mondo della scuola è un settore di primaria importanza, al quale tutti dobbiamo volgere il nostro interesse e le nostre fondate preoccupazioni.
TUTTO CIO’ PREMESSO
Delibera
-di esprimere solidarietà e soprattutto pieno appoggio alle iniziative, pienamente condivisibili, anche in riferimento alla tutela dei fondamentali diritti costituzionali, degli insegnanti calabresi e di tutt’Italia;
-di trasmettere il presente ordine del giorno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle Camere allo scopo di invitare i rappresentanti parlamentari a modificare radicalmente la Legge 13 luglio 2015, n. 107.
“INSEGNANTI CALABRESI” RELATORI PER LA SCUOLA AL CONVEGNO A.N.P.I.
Gli “Insegnanti calabresi”- PSP Partigiani della Scuola Pubblica- hanno parlato di Scuola alla conferenza organizzata dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia): Per una scuola di” sana e robusta Costituzione”, presso la Libreria Ubik, di Catanzaro Lido la mattina di domenica 4 ottobre. Mario Vallone ha inquadrato la conferenza in un ciclo che l’ANPI dedicherà alle riforme messe in atto da questo Governo che contrastano apertamente con i valori della Costituzione .
Per i Partigiani della Scuola Pubblica -Insegnanti Calabresi hanno relazionato le prof.sse Rosanna Giovinazzo di Cinque Frondi (RC) e Bianca Laura Granato (Catanzaro).
La professoressa Giovinazzo ha ripercorso i momenti salienti delle varie riforme scolastiche da Berlinguer a Giannini, che hanno preparato l’humus per l’approvazione della legge 107/2015, completando e realizzando il disegno di una scuola verticistica ed aziendalistica. Modello di scuola che mina pericolosamente, in nome di un’ideologia tecnocratica e plutocratica, i principi fondanti della scuola come luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica
La legge 107 di Riforma della scuola è la tragica conclusione di una sequenza di riforme partite dagli anni ’90 con Luigi Berlinguer, che hanno visto il graduale orientamento della scuola pubblica verso una gestione autonoma e verticistica, lo svuotamento graduale dei curricoli scolastici a beneficio di una offerta formativa extra-curricolare ed infine il taglio di numerose ore (anche caratterizzanti gli indirizzi) dai piani di studio. Tutto ciò ha portato ad un graduale scadimento dell’efficacia formativa della scuola e ad una graduale differenziazione degli istituti, condizioni lesive del principio delle pari opportunità, sostiene la prof.ssa Giovinazzo. Questa ultima riforma ha costituito il “colpo di grazia” alla scuola pubblica, trasformandola in qualcosa di irriconoscibile più somigliante ad una azienda scolastica che non a ciò che prescriveva la nostra Costituzione.
La prof.ssa Granato si sofferma su alcuni contenuti della riforma particolarmente gravi sotto il profilo costituzionale: l’introduzione di soggetti privati nel ruolo inedito di “azionisti” della scuola pubblica, i quali imporranno la loro linea pseudo-pedagogica ai dirigenti, che della scuola non saranno più che degli amministratori delegati. L’autonomia di quest’ultimi è solo fittizia: i Docenti dovranno seguire le prescrizioni imposte al Dirigente dai soggetti esterni, da cui la valutazione sarà inevitabilmente condizionata e i titoli di studio conseguiti dagli studenti saranno inattendibili. Questo é il primo passo per una sperequazione degli alunni su base plutocratica: i soggetti provenienti da situazioni economiche più forti avranno accesso ad una carriera scolastica facilitata, mentre i soggetti deboli anche meritevoli soccomberanno di fronte alle insormontabili difficoltà economiche messe in campo da questa legge e dalle altre riforme che il governo ha progettato per smantellare pezzo per pezzo il welfare. Fa parte di questo scellerato disegno l’abolizione della scuola statale dell’infanzia, riaffidata agli enti locali con compartecipazione delle famiglie, il sostegno alla didattica cancellato, le classi pollaio più piene di prima, i piani di studio ridotti all’osso dalla Gelmini mai più ripristinati nonostante la sentenza del TAR del Lazio e il commissariamento del MIUR. Questa la triste”buona scuola” di Renzi, un progetto sponsorizzato attraverso slogan fallaci e diffamazione gratuita ai danni della classe docente. Il tutto mandato ad effetto tramite i media nazionali compiacenti che hanno oscurato e continuano ad oscurare ogni voce di dissenso.
Molti gli interventi dei partecipanti, Alba Oppedisano, che ha ricordato le restrizioni al diritto di sciopero dopo la Riforma Moratti, quindi l’introduzione della precettazione in caso di sospensione degli scrutini finali, misura che ha vanificato le ultime proteste del personale scolastico sia pure quasi unanimi; Eligio Basile che ha parlato dei pasticci e degli abusi che già avvengono tra ATP e scuole, dove già si possono individuare facilmente i docenti “protetti” e clientelarizzati; Luigi Cozza che ha inquadrato le problematiche della scuola italiana nella politica europea; Rita Militi che ha affrontato il problema del sostegno in Europa, paventando la soluzione delle classi differenziali o meglio delle scuole differenti nelle quali è segregata l’utenza con disturbi di apprendimento in Germania. Per ultimo, l’avv. Ernesto Mazzei nell’esprimere soddisfazione per il movimento di protesta che si leva dal mondo della scuola, ha fatto notare come questi provvedimenti seguano tutti la medesima logica: quella della riduzione drastica dei diritti dei lavoratori e dello svuotamento della Costituzione. Il job’s act ha quasi cancellato l’art. 18 e la prossima mossa sarà l’adeguamento dei contratti del pubblico impiego a quelli privati.
A conclusione degli interventi la riflessione unanime sul fallimento della politica italiana nella conduzione del Paese verso una politica che pone al centro l’obiettivo economico e trascura l’uomo, una politica che non salva neanche l’economia, visto che i costi sociali del depauperamento della classe lavoratrice aumentano a dismisura e sono a carico dello Stato, mentre imprenditori sempre più incapaci sperperano le risorse, corrompono i politici, incamerano i profitti e affamano i lavoratori senza produrre ricchezza. Il Governo Italiano e la politica italiana hanno fallito nel perseguire per 20 anni la privatizzazione producendo povertà senza ridurre il debito pubblico, la crisi non è che l’effetto di questi gravissimi errori che hanno portato e stanno portando lo stato italiano in dismissione. Gli Insegnanti Calabresi porteranno avanti la loro lotta contro tutte le riforme scellerate che stanno distruggendo il welfare senza esito positivo di sorta in alcun settore e non arretreranno fino al ripristino dello stato di diritto pensato e descritto dai Padri Costituenti per tutto il popolo italiano delle generazioni presenti e future.
Gli Insegnanti calabresi solidarizzano con gli studenti e partecipano alle manifestazioni contro la Riforma della Scuola
I comitati dei docenti autoconvocati di tutte le province calabresi -Insegnanticalabresi PSP- Partigiani della Scuola Pubblica, parteciperanno alla settimana di scioperi e sensibilizzazione che i comitati studenteschi stanno organizzando.
L’autunno caldo della scuola ha inizio. Domani si svolgerà la prima manifestazione studentesca in tutte le piazze delle città italiane. Gli alunni dichiarano il proprio dissenso nei confronti della legge sul Jobs Act e sulla cosiddetta riforma della “Buona Scuola”. Il loro No è rivolto ad una legge che assegna ruoli sul modello aziendale verticistico, con una scuola in cui il ds-manager compie scelte, assegna compiti, dà direttive. Il collegio docenti viene svilito nel suo ruolo, non più luogo decisionale, ma di sola approvazione di scelte compiute dal ds in maniera univoca.
Gli alunni perdono, nei fatti, il loro diritto ad un’istruzione libera, con medesimi diritti, mentre vengono avviati ad essere solo futura forza lavoro. Non lavoro etico, fatto di scelte consapevoli e partecipate, ma lavoro d’esecuzione in cui c’è chi comanda e chi esegue.
Gli alunni chiedono maggiore partecipazione alla vita decisionale scolastica che li vede protagonisti, lottano per libri di testo e trasporti gratuiti, rifiutano l’obbligatorietà del “contributo scolastico” e la realizzazione di progetti farsa in cui i privati , le banche, le fondazioni, le multinazionali potrebbero entrare a gamba tesa nella scuola, imponendo le loro pretese.
Inoltre non accettano lo sfruttamento a cui verrebbero sottoposti con l’esperienza dell’alternanza scuola/lavoro che li vedrebbe manodopera da sfruttare.
Inoltre, temendo la imminente riforma della “Buona università “, con cui il governo Renzi di prepara a dare continuità al suo progetto di controllo delle menti, anticipano la lotta per i diritti degli studenti con minori possibilità economiche, rifiutando il cosiddetto “Fondo nazionale di Merito ” con cui si uccide il diritto allo studio e anche i “prestiti d’onore ” che spingono i neolaureati ad indebitarsi con le banche nella costruzione del loro futuro.
Gli alunni rifiutano di essere sottoposti ad un progetto formativo che li spinge ad essere solo competitivi, anziché stimolarli ad una crescita basata sul confronto e la partecipazione. Chiedono una scuola inclusiva, in cui crescere coltivando le proprie potenzialità e i loro sogni.
Tutti in piazza quindi domani 2 ottobre e poi il 9 ottobre, attraverso una settimana di chiarezza, conoscenza e confronto.
Vademecum Insegnanti calabresi. Chiarimenti sulla Legge 107, dannosa e anticostituzionale
Premessa
Questo opuscolo è stato redatto in versione aggiornabile per via della provvisorietà di alcune informazioni che vi sono contenute. La legge 107 è infatti un’opera in fieri, in attesa di decreti attuativi e riempimento di deleghe in bianco. Le versioni aggiornate saranno disponibili sul sito: http://www.insegnanticalabresi.blogspot.it.
La Riforma scolastica non era nel programma di governo del PD ma è stata inserita probabilmente per far fronte ad un’emergenza: quella generata dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 novembre 2014, che condannava lo Stato Italiano all’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari che avevano prestato servizio nella P.A. per almeno 36 mesi consecutivi.
Oltre 100.000 precari della scuola si trovavano ad avere maturato questi requisiti.
Questi si aggiungevano ad alcuni docenti di ruolo che avevano perso le cattedre per effetto dei tagli operati nelle politiche scolastiche precedenti (Gelmini, in particolare) sul monte ore settimanale di varie discipline, alcune delle quali addirittura caratterizzanti gli indirizzi di istituti di diverso ordine (esempio: la soppressione di sei ore di Economia aziendale dal piano di studi Istituti Tecnici Commerciali e di un’ora di Geografia e una di italiano da quello dei licei classici). Tanto eclatante questa politica di tagli su materie di indirizzo da suscitare un ricorso vinto da un genitore presso il TAR del Lazio con sentenza n. 3527 del 2013 ed esecutiva n. 6438 del 2015, tuttora rimasta lettera morta, per cui il MIUR è commissariato.
In altre classi di concorso, invece, quali quelle relative all’insegnamento della Matematica in Istituti di diverso ordine e grado c’era e continua ad esserci una vacanza di personale di ruolo non colmata dal delirante piano di assunzioni messo in atto per mezzo di questa riforma di cui si cercherà di semplificare i passaggi.
Il Piano assunzioni
Il piano assunzioni previsto dalla L. 107 prevede per l’anno 2015/16 esclusivamente la collocazione del personale collocato nelle G.A.E., ovvero, Graduatorie ad Esaurimento, graduatorie provinciali degli abilitati fino al 2007, e nelle G.M. ( Graduatorie di merito del concorso a cattedra 2012) alcuni dei quali con pochissimi punti (addirittura 20) in quanto dotati di scarsissima o nessuna esperienza lavorativa. Molti di questi già si erano sistemati diversamente, ma il piano assunzioni della L. 107 li ha raggiunti ugualmente.
Ricordiamo ai lettori che i concorsi per l’insegnamento finora sono stati banditi ogni 10 anni, come minimo, ecco perché molto personale docente non si trova ad aver superato o vinto un concorso pubblico.
Fuori dal piano assunzioni dell’anno 2015/16 rimangono docenti collocati nella c.d. Seconda Fascia di Istituto, abilitati anch’essi con gravosi esborsi di oltre 2000,00 € devoluti al MIUR, con il TFA (Tirocinio Formativo Attivo) e con il PAS (Percorsi Abilitanti Speciali), alcuni dei quali avevano maturato i requisiti per l’assunzione avendo prestato servizio anche per oltre tre anni dall’ inizio alla fine delle attività didattiche. Nelle classi di concorso in cui le graduatorie erano esaurite (tipo quelle relative all’insegnamento della Matematica) avrebbero potuto essere assunti, ma i loro posti sono attualmente congelati e assegnati a supplenti annuali.
Attualmente il numero degli assunti coincide con quello dei pensionati, quindi siamo fermi al normale turn-over. Ciò è avvenuto anche poiché è stato consentito ai docenti assunti in fase “B”, i cosiddetti “deportati”, di rinviare l’assunzione all’anno 2016/17. Perciò paradossalmente la “supplentite” continua e, anzi, è cresciuta.
Inoltre, per consentire la collocazione indiscriminata, invece, del personale in G.A.E. E in G.M. in parte assunto senza disponibilità di cattedra, il legislatore, invece di ripristinare le ore di insegnamento tagliate dalla Gelmini, come prescriveva la sentenza del TAR del Lazio, e di ridurre il numero degli alunni per classe, creando dei posti di lavoro utili all’efficienza del servizio, a norma e stabili, oltre all’organico di diritto e a quello di fatto, si è inventato un organico di potenziamento, ovvero un organico che verrà messo a disposizione dei vari Dirigenti Manager per realizzare gli obiettivi programmati nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa, selezionato senza riguardo anche alla specificità della classe di concorso di appartenenza; questo è il personale che occupa le ultime posizioni delle G.A.E. e delle G.M. che verrà assunto prossimamente nella cosiddetta “Fase C” nelle province prescelte. Siccome questa attività di “potenziamento” può essere portata avanti solo senza oneri per la pubblica amministrazione, questi docenti non potranno lavorare di pomeriggio e quindi presumibilmente faranno da tappa-buchi dei docenti assenti, senza un quadro orario di riferimento (quale sarebbe quindi il potenziamento?) oppure per uno o due alunni per classe ovvieranno ad altre annose carenze della scuola italiana tipo gli insegnamenti alternativi all’ora di Religione Cattolica (che comunque per legge dovranno essere altri rispetto a quelli dei piani di studio dell’istituto). Un autentico spreco di risorse coniugato ad una atroce mortificazione professionale per i docenti neoassunti !!
Il personale assunto invece nelle fasi precedenti, perché dotato di maggiore punteggio (Fase B) è stato collocato nel settembre 2015 su cattedre esistenti ma in ambito nazionale, anche se le G.A.E. e le G.M. erano provinciali, senza tener conto, nella destinazione della sede, delle esigenze familiari o dei benefici della L. 104 riservati agli accompagnatori dei portatori di handicap (violazione art. 3 Cost.- pari opportunità). Per esigenze di famiglia o di assistenza a familiari disabili, non tutti gli aventi diritto hanno potuto produrre domanda (si calcola non l’abbia fatto il 30% circa). Questi ultimi hanno perso il diritto a rientrare nel piano assunzioni, rimanendo nelle G.A.E., ancora non si sa esattamente con quali prospettive se non quella di effettuare supplenze temporanee, perché le prossime assunzioni avverranno solo tramite concorsi ultra-selettivi. Le G. M., invece, saranno soppresse dopo questo piano assunzioni.
Il problema dei neo-assunti è quello di essere quasi tutti meridionali e di dover coprire dei posti in prevalenza dislocati al Nord con incarico triennale rinnovabile, senza prospettiva di rientro in sede a breve/lungo termine per via delle norme relative ai trasferimenti di cui si parla nel paragrafo sui contratti a tempo indeterminato.
Suddividendo il piano assunzioni in più fasi, il legislatore non ha rispettato le priorità dei punteggi maturati dai docenti per stabilire le precedenze di scelta dei posti disponibili di organico di diritto, fatto e potenziamento, per cui il personale con minor punteggio, anche se senza cattedra, otterrà collocazione più prossima alla sede di residenza, e quello con maggior punteggio collocazione più distante. Sarebbe bastato accorpare le fasi di assunzione in una unica, mettendo a disposizione dei docenti in base a precedenza di punteggio tutti i posti disponibili per garantire le corrette priorità di assegnazione.
Il precedente sistema di reclutamento era molto più “razionale ”: i posti venivano tutti indicati e assegnati in base a disponibilità ai docenti inseriti in un doppio canale: quello dei concorsi pubblici e dei corsi abilitanti (50% agli uni e 50% agli altri), così si salvaguardava sia il merito che l’anziantà di servizio.
I contratti a tempo indeterminato
Un altro aspetto della riforma da evidenziare è che i contratti definiti “a tempo indeterminato” in realtà sono dei contratti triennali rinnovabili, quindi non si tratta di posti di lavoro stabili, ma tuttora precari e a rischio di estinzione.
Viene inoltre precarizzato e messo in mobilità il personale di ruolo che, qualora si trovasse in esubero (il caso dei soprannumerari), a partire dal 2016/17 verrebbe inserito in albi di ambiti territoriali di incerte dimensioni ai quali dovrebbero attingere i Dirigenti procedendo per chiamata diretta, senza riguardo al punteggio maturato negli anni di servizio, né alla specificità del titolo posseduto. Tutti i docenti, di ruolo e non, in base al comma 3, art. 1, sono vincolati per un triennio nella sede di servizio, dopodiché in caso di esubero possono essere in base a graduatoria d’istituto collocati in mobilità finendo in albi territoriali.
Chiedere trasferimento per avvicinarsi ai propri familiari, diritto tutelato dalla Carta Costituzionale (Art. 16), implica essere messi a disposizione negli ambiti territoriali e dover aspettare la chiamata diretta di un Dirigente per essere destinati ad una sede provvisoria triennale.
Come si nota, l’intento del legislatore non è neanche quello di garantire la continuità didattica (visto che la titolarità di sede ha vincolo esclusivamente triennale), come avrebbe voluto far intendere il premier Renzi, bensì di precarizzare il personale docente tutto, assoggettandolo ad un rapporto personale col Dirigente, che potrà sfociare in abusi di ogni sorta da parte di quest’ultimo nei suoi riguardi. Di sicuro, sullo sfondo di questo sistema di reclutamento per nulla trasparente, si profileranno clientelismi e ingerenze esterne di natura equivoca.
Per quanto concerne la contrattazione del personale docente, questa è bloccata dal 2009 e la Riforma prevede per l’aggiornamento del contratto una delega in bianco che il Governo dovrà riempire entro 18 mesi dalla promulgazione della legge. Si ignorano i criteri che il legislatore utilizzerà e ciò costituisce violazione dell’art. 76 della Costituzione. Si intende così bypassare l’intermediazione sindacale e agire senza interlocutori
Gli Organi collegiali
Il Dirigente Scolastico definisce le linee d’indirizzo dell’istituto che determinano il POF (Piano dell’Offerta Formativa), il quale viene elaborato dal Collegio docenti (l’azione del collegio è concepita solo come la formalizzazione della volontà del Dirigente Scolastico). Il Consiglio d’Istituto approva (anziché adottare) il POF, che diventa dal 2016/17 triennale (PTOF: Piano Triennale dell’Offerta Formativa), rivedibile annualmente, costruito su un modello predisposto dal MIUR.
Il Dirigente Scolastico nomina il suo staff e stabilisce i docenti utilizzati nell’”organico di potenziamento”, funzionali agli obiettivi che ha previsto nel PTOF. Il Collegio docenti e il Consiglio d’Istituto perdono il loro potere di definire le linee guida della didattica e della regolamentazione dell’istituto a vantaggio del Dirigente.
Il bonus e il Comitato di valutazione dei docenti
I docenti “meritevoli” vengono gratificati con un bonus di 16,00 euro al mese per tre anni distribuito a quelli che ne abbiano fatto richiesta e abbiano così accettato di sottoporsi con esito positivo ad un comitato per la valutazione dei docenti (l. 107, art. 1, comma 129) eletto ogni tre anni, costituito da
· un esperto nominato dall’USR (Ufficio Scolastico Regionale),
· Dirigente,
· tre docenti (2 scelti dal Collegio Docenti ed uno dal Consiglio d’Istituto)
· due genitori, per le scuole dall’infanzia fino alla secondaria di primo grado/ da uno studente ed un genitore, per gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado.
Le componenti genitori e alunni sono scelte dal Consiglio d’Istituto. I membri non sono retribuiti.
Il compito del Comitato di valutazione sarà quello di stabilire i criteri di assegnazione del bonus ai docenti meritevoli e di valutare il servizio del docente che ne farà richiesta. Non è prevista verbalizzazione delle sedute, quindi la trasparenza delle operazioni non è garantita.
Bonus di 500 euro all’anno ai docenti per la formazione
Per quanto concerne il bonus di 500 euro all’anno previste per la formazione dei docenti, è utile ricordare che un qualunque corso di formazione che si rispetti costa non meno di 800 euro, quindi si tratterebbe di un indennizzo parziale e che tali soldi spesi dai docenti rientrerebbero nel budget del MIUR che organizza tali corsi. Il più delle volte detti corsi sono tenuti da formatori che non hanno nulla da insegnare a chi ha già esperienza sul campo. Anche questo è un business con cui il MIUR si finanzia a spese del misero stipendio dei docenti. Le spese affrontate, consistenti anche in acquisto di libri o materiale informatico per la didattica da scontare con il bonus devono essere comunque rendicontate, altrimenti è prevista la restituzione della cifra.
Gli Studenti, l’Alternanza scuola-lavoro, l’Università e i Concorsi pubblici
Per gli alunni dei trienni dei vari istituti è prescritto l’obbligo di un tirocinio formativo da effettuarsi presso enti o aziende private operanti sul territorio. Tale obbligo si configura in 200 ore per i licei e 400 ore per gli istituti tecnici, la cosiddetta alternanza scuola-lavoro. Una norma inattuabile in quasi tutte le regioni d’Italia se si pensa al numero degli alunni che verrebbero coinvolti (per ogni istituto di mille alunni, circa seicento), prescritta come obbligo senza una conferenza preliminare con le regioni, cui la Costituzione al Titolo V, art. 117, conferisce competenza esclusiva in ambito di tirocinio formativo. Su questo punto, le Regioni avrebbero potuto ricorrere alla Corte Costituzionale, in base all’art. 127, comma 2, ma per la prevalenza di Regioni “distratte” da altro durante i 60 giorni successivi alla promulgazione della l. 107, nonché di orientamento filo-governativo (17 Regioni su 20 sono in mano al PD), solo 2 hanno presentato il ricorso nei termini: la Puglia e il Veneto. Ignoriamo come sia stato impostato il ricorso dall’avvocatura regionale di queste due regioni. Noi docenti calabresi abbiamo provveduto a diffondere autorevole parere dello studio Falzea-Lollo, avvocati costituzionalisti, per indirizzare correttamente tali procedure, ma non é stata palesata l’intenzione di tenerne conto. Da ricordare che tale tirocinio formativo può essere attuato solo durante le pause didattiche, quindi prevalentemente d’estate, visto che i curricoli disciplinari non sono stati toccati dalla legge. Inoltre dati ufficiali della Union Camera riportano solo al 2% la percentuale della disoccupazione giovanile imputabile al disallineamento della formazione con la domanda di competenze che viene dal mondo dell’impresa, mentre il Governo, a supporto della propria iniziativa legislativa, portava il dato addirittura al 40%, basandosi su una ricerca fatta da una delle più importanti multinazionali che operano nel settore della consulenza manageriale (guarda caso!!). Quest’alternanza scuola-lavoro é pertanto inutile sotto il profilo occupazionale ai ragazzi e avvantaggia solo le imprese che avranno su di loro licenza di gratuito sfruttamento. Le imprese inoltre, a tal proposito, si attendono finanziamenti appositi e sgravi fiscali, così come da vademecum sulle regole per l’alternanza scuola-lavoro recentemente presentato da Confindustria al Ministro Giannini. C’è da credere quindi che ulteriori fondi verranno prossimamente stornati al comparto pubblico per essere destinati a questa operazione, che per le imprese si trasformerà nell’ennesimo business con denaro pubblico.
La Legge 107 va inserita inoltre in un piano più ampio di altre riforme: quella delle Università, ancora in fase di elaborazione, di cui solo si sa per dichiarazioni rese dal Premier che si procederà all’introduzione di finanziamenti privati, al conferimento di più ampi poteri discrezionali ai Rettori e ad un probabile aumento delle tasse universitarie. La Riforma delle Università è a sua volta collegata alla riforma della Pubblica Amministrazione, che nei fatti sancisce l’abolizione del valore legale della lau¬rea come cri¬te¬rio qua¬li¬fi¬cante per l’accesso ai con¬corsi pub¬blici. Il governo ha intro¬dotto infatti un cri¬te¬rio di delega tale da defi¬nire una dif-fe¬ren¬zia¬zione tra ate¬nei. Si tratta di un grave attentato al prin¬ci¬pio del valore legale del titolo di stu¬dio che è costan¬te-mente oggetto di attac¬chi, soprat¬tutto dall’inizio della crisi, da parte di tutti i governi dell’austerità e delle pic¬cole o grandi «intese» (con¬fin¬du¬striali). Il pro¬getto del governo Renzi risale, in realtà, a un’iniziativa ana¬loga adot¬tata dal governo Monti nel gen¬naio 2012. Allora si cercò inu¬til¬mente di abro¬gare il valore legale della lau¬rea, modi¬fi¬cando il sistema di «accre¬di-ta¬mento» degli ate¬nei e pri¬vi¬le¬giando quelli «eccel¬lenti» rispetto a quelli più poveri del Sud ai quali sareb¬bero stati ero¬gati fondi decre¬scenti. L’intenzione è rima¬sta la stessa: una lau¬rea presa a Bari non deve avere lo stesso valore di una presa alla Bocconi di Milano.
La rete di scuole
Per quanto concerne la struttura delle scuole: è prevista la costituzione di rete di scuole che fanno capo ad un unico ufficio amministrativo oppure si avvalgono di servizi in rete. Queste incertezze sono dovute alle ambiguità del dettato normativo che ancora non è stato chiarito dai decreti attuativi. Certamente questo provvedimento è volto a tagliare il personale ATA, che infatti non viene neanche menzionato dalla legge, con conseguenti prevedibili disservizi. Il personale ATA è già oggi subissato di lavoro e di mansioni e, a stento, riesce a fare fronte alle sempre crescenti esigenze gestionali dovute all’autonomia scolastica in continuo incremento. Dal combinato dell’art. 1 comma 333 della legge di stabilità 2015 con la legge 107, non si potranno nominare supplenti per gli ATA per i primi sette giorni di assenza. Questo provvedimento ha comportato che una dirigente di Bologna, Daniela Turci, Istituto Comprensivo 20, ha indetto una raccolta firme di protesta da inoltrare al ministro Giannini, evidenziando le gravi conseguenze di questo provvedimento per l’efficienza e la garanzia del servizio.
Il “Preside manager”
Il Dirigente scolastico stabilisce le linee guida dell’istituto e il rapporto di autovalutazione (R.A.V.); nomina l’organico dell’autonomia (organico di potenziamento scelto dagli albi territoriali e i docenti e del suo staff). Stabilisce la premialità da devolvere ai docenti meritevoli e partecipa al Comitato di valutazione degli stessi. Mantiene i rapporti con gli Enti e le aziende operanti sul territorio sia per l’alternanza scuola-lavoro, sia per ottenere eventuali finanziamenti.
E’ soggetto a mobilità frequente e ad ispezioni del MIUR e non gode più del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.
Le numerose ambiguità del testo normativo della l. 107 non regalano tranquillità ai Dirigenti che rischiano continui ricorsi da fronteggiare a spese loro. Su di loro graverà anche il rischio di subire pressioni politiche, malavitose ed imprenditoriali. Gli imprenditori infatti saranno i veri manager della didattica, perché imporranno, come già è avvenuto recentemente a Bologna, le condizioni di utilizzo dei fondi che erogheranno alle scuole. In realtà i Dirigenti rischiano di trovarsi tra l’incudine e il martello: tra Ministero ed imprenditori e di sicuro la loro autonomia senza oneri per la finanza pubblica è solo un onere per loro, un munus, come lo erano le cariche pubbliche durante la decadenza dell’Impero Romano.
Questa legge non favorisce nemmeno dunque i Dirigenti seri, ma solo quelli che vogliono ottenere potere personale da utilizzare in modo poco trasparente. Ricordiamo che l’imparzialità nelle P.A. è sancita dall’art. 97 della Costituzione e che questo potere dei Dirigenti scolastici, anomalo per tutti gli altri dirigenti della P.A., non offre alcuna garanzia di rispetto di questo principio.
Gli Enti e le aziende che investono nella scuola pubblica
Gli Enti e le aziende che investono nella scuola pubblica otterranno sgravi fiscali consistenti (pari al 65% del versamento effettuato). In mancanza di questa “provvidenza”, l’istituto può attingere ad una cassa comune in cui viene riversato il 10% dei finanziamenti privati ottenuto dagli altri istituti su scala nazionale.
E’ evidente come la legge non garantisca pari opportunità (art. 3 Costituzione) su tutto il territorio nazionale, in quanto gli istituti situati in aree svantaggiate non godranno degli stessi finanziamenti di quelle economicamente sviluppate, anche se possono beneficiare del fondo cassa e quelli dislocati in aree a rischio criminalità potrebbero subire infiltrazioni mafiose attraverso tentativi di riciclaggio di denaro sporco e/o condizionamento della didattica (come già è avvenuto) attraverso il Dirigente plenipotenziario e il Comitato di valutazione (violazione art. 33 della Costituzione: libertà di insegnamento).
Le “classi-pollaio”
La l. 107 prevede che si possa ridurre il numero di alunni per classe, senza oneri per la finanza pubblica. Come ognuno vede, la possibilità di realizzare l’obiettivo a questa condizione non può sussistere.
La cultura “umanista”
Per quanto concerne questo aspetto della nota tragi-comica performance del Presidente del Consiglio che illustrava la “bontà ” della riforma alla lavagna, é bene chiarire che la l. 107 non interviene sui piani di studio, quindi non ripristina alcuna ora soppressa dalla Gelmini nella riforma precedente, né di Lettere, né di Arte.
Deleghe in bianco e cancellazione di fatto delle scuole statali dell’infanzia
La legge 107 prevede un utilizzo incostituzionale della delega in bianco, uno strumento eccezionale per il legislatore che l’art. 76 della Costituzione regolamenta imponendo di definirne i criteri precisi nel testo sottoposto alle Camere. Tali criteri enunciati in modo incomprensibile rendono questo atto legislativo un altro grave attacco alla Costituzione.
Fortemente preoccupante il comma 181 che incomprensibilmente recita:” l’istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei livelli essenziali, prevedendo il co-finanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell’infanzia e da parte delle regioni e degli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio” riguardo alle scuole dell’infanzia che potrebbero essere co-finanziate da enti territoriali (Regione o Comuni) o addirittura dalle famiglie. Si potrebbe configurare l’ipotesi quindi della privatizzazione parziale delle scuole dell’infanzia.
In merito si può aggiungere che il presidente della Giunta Regionale della Calabria, Mario Oliverio, ha deliberato l’attribuzione di 2,5 milioni di euro a 400 scuole paritarie, per compensare le carenze delle scuole pubbliche dell’infanzia in Calabria. Ricordiamo a questo proposito che l’art. 33 della Costituzione recita che “Lo Stato deve istituire sul territorio scuole di ogni ordine e grado”, e non è che per sopperire ad un preciso dovere che la Costituzione impone allo Stato la Regione sia tenuta ad erogare finanziamenti alle scuole paritarie che, sempre in base all’art. 33 della Costituzione, possono essere istituite ma “senza oneri per lo Stato”.
I finanziamenti alle scuole private
La l. 107 prevede anche detrazioni fino a 400 euro annuali per i genitori degli alunni frequentanti le scuole private. Tutto ciò in aperto contrasto con l’art. 33 della Costituzione che prevede che l’istituzione di scuole private non sia oneroso per lo Stato.
BES, DSA, alunni diversamente abili
Lasciato ad una delega in bianco da integrare alla Legge 107 lo spinoso problema dei BES (Bisogni Educativi Speciali), degli alunni affetti da DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento) e di quelli Diversamente Abili.
Nella scuola secondaria di secondo grado, durante il Governo Monti, era stata avviata la soppressione delle aree di specializzazione (scientifica, umanistica, tecnica, motoria) per favorire non certo l’apprendimento dei ragazzi con disabilità i quali avrebbero diritto ad avere un “sostegno” competente, come giustamente sostenuto nella sentenza n.245 del 26 gennaio 2001 del Consiglio di Stato, ma solo per facilitare la mobilità dei docenti.
Attualmente, per i DSA ed i BES non è previsto nessun sostegno alla didattica, anzi, la classe, anche di scuola primaria, può essere riempita fino a 30 alunni, assegnati ai soli docenti curricolari, i quali devono inventarsi un piano educativo personalizzato per consentire all’alunno svantaggiato di conseguire ugualmente gli obiettivi, nonostante la disabilità e un’azione didattica rivolta simultaneamente ad altre 29 persone. Avrebbero detto in questo caso i Romani più saggiamente e in buona fede dei nostri governanti: “Ad impossibilia nemo tenetur” (A ciò che è impossibile nessuno è obbligato). Invece lo Stato pretende risultati senza fornire strumenti e definire modi per realizzarli.
Per quanto riguarda invece i diversamente abili, nel DDL Faraone-Malpezzi, che dovrebbe colmare la delega in bianco sulla tematica in oggetto, manca l’assegnazione oraria del docente di sostegno allo studente con disabilità, così com’era previsto dall’articolo 13 della Legge 104 del 1992. Questo significa che gli alunni con disabilità non sarebbero curati nella specificità delle aree di competenza professionale, né sarebbe curata l’inclusione, ma sarebbero affidati a personale specializzato nella specifica disabilità, senza riguardo agli apprendimenti delle specifiche aree di competenza, verrebbero, vale a dire, trattati come materiale umano di risulta da gestire piuttosto sotto il profilo socio-sanitario.
Riformare il sostegno con soluzioni che non hanno nulla di ragionato e all’insegna del risparmio, con il rischio di eliminare una figura di altissimo profilo quale è quella del docente specializzato in integrazione, arrecherebbe un ulteriore danno alle scuole statali che, oggi, si reggono in piedi da sole, senza l’aiuto dello Stato.
La spesa pubblica per l’istruzione
La spesa pubblica per istruzione continuerà a scendere per i prossimi quindici anni: lo dice il Def, il Documento di programmazione economica e finanziaria. Secondo il ministero dell’Economia, la previsione della spesa per istruzione in rapporto al Pil (prodotto interno lordo) presenta una sostanziale stabilità fino al 2016, ma solo perché i tagli («le misure di contenimento della spesa per il personale previste dalla normativa vigente») trovano compensazione nelle risorse stanziate dalla Legge di Stabilità per la riforma Renzi. Ma negli anni successivi le cose cambieranno: la spesa «mostra un andamento gradualmente decrescente che si protrae per circa un quindicennio».
E prima di vedere un’inversione di rotta passerà del tempo, almeno stando alle previsioni del Def: la spesa pubblica per istruzione, che partiva dal 3,9% del Pil del 2010, passerà dal 3,7% del 2015 al 3,5% del 2020, al 3,4% del 2025, al 3,3% del 2030 e del 2035. Poi ricomincerà leggermente a salire, fino al 3,5% del 2060. Ma in realtà a partire dal 2020 la riduzione è «trainata dal calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche», quindi significa che sostanzialmente ci saranno sempre meno studenti nelle aule e la spesa calerà.
Secondo l’Istat, l’Italia è il Paese che spende meno in istruzione rispetto agli altri Stati europei membri in rapporto al proprio Pil. Secondo l’annuario italiano pubblicato a gennaio scorso, l’Italia ha speso nel 2014 complessivamente (quindi considerando non solo le spese dirette ma anche quelle indirette, come i sussidi alle famiglie) il 4,6% del Pil, molto meno che nel resto d’Europa. Dalla Danimarca (che guida la classifica con il 7,9%) al Regno Unito, dalla Francia al Belgio, dall’Olanda alla Svezia e alla Finlandia, la spesa si attesta sopra il 6%. Anche Portogallo e Spagna fanno meglio, con il 5,5%.
Ricordiamo i Parlamentari calabresi che hanno votato “SI” alla Riforma scolastica firmata Renzi-Giannini:
Per la Camera dei Deputati: Demetrio Battaglia, Bruno Censore; Nicodemo Oliverio, Ernesto Magorno, Franco Bruno, Fernando Aiello;
Per il Senato: Doris Lo Moro (assente ma avrebbe votato SI), Marco Minniti, Pietro Aiello, Antonio Gentile, Nico d’Ascola, Giovanni Bilardi.
E Mario Oliverio che ha inteso adottarla sul territorio.
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